LE IMPLICAZIONI DELLE DISTANZE

Studio sui possibili significati e
le implicazioni delle “distanze”
tra luoghi e contesti dell’arte.

A cura di: Antonio Zimarino
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Capitolo 2 (III parte)

Disorientamenti, riorientamenti e autenticità

Attualmente (ma anche storicamente) la condizione del disorientamento (ma l’accezione non deve essere necessariamente intesa in modo negativo) è certamente propria dei “grandi centri” poiché in essi la comunicazione, quindi la dinamica dell’evoluzione culturale, avviene in tempi più rapidi: questa condizione offre indubbiamente ampie possibilità creative, ma anche delle grosse conseguenze. Se la condizione culturale da interpretare è la mutevolezza operata dalla comunicazione, cos’è che può rappresentarla se non una “estetica della comunicazione” o un affastellamento di “media”, ognuno potenzialmente significante, ma assolutamente relativo nel sistema di relazioni in cui è posto? (16). Le ricerche contemporanee tendono necessariamente a focalizzarsi o sul “medium”, poiché l’enormità e la simultaneità della comunicazione rendono secondari i contenuti e la “sostanza” etica di riferimento che si veicola, oppure a variare la nozione di “densità” significativa dell’opera e a sfocare la sensibilità e la sensatezza per aprire ulteriori variabili di “senso” (17).

In questa condizione di debolezza strutturale che è debolezza mirata e volontaria di “sostanza”, cioè di “senso” e ragione dell’operare, l’espressione artistica subisce grandi pressioni alla sua articolazione da altri fattori, che non sono più “sistemi di pensiero” ma sistemi di organizzazione dell’immagine promossi dal “sistema arte” nella sua ragione economica. L’unico fattore “ordinativo” e ideologizzante del presente può essere riconosciuto nella “logica del mercato” che appare tra l’altro strettamente connessa con un preciso sviluppo dell’immaginario globalizzato, costruito sulla visione filmico – narrativa del cinema o su quella iconica – contenutistica della pubblicità. Di per se, il “mercato” non detta norme estetiche evidenti (18) e non ha un solo modo di strutturarsi, ma nei suoi criteri generali, risponde e si struttura in base a logiche differenti da quelle che sono alla base di una autentica dinamica di “ricerca” che rimane soprattutto “ricerca di senso”.

Per un artista, soprattutto se proviene dalla provincia, l’incontro con le logiche del mercato, cioè con le logiche della “riconoscibilità”, della appartenenza a ciò che la cultura di massa identifica come “arte contemporanea”, può significare spesso la fine stessa della “ricerca” (19), che è tale solo se si muove prima di ogni altra cosa, nelle direzioni dettate dalla storia personale / relazionale / contestuale. Le logiche del mercato hanno da un lato, la necessità di orientare alle certezze, alla riconoscibilità, alla chiare identificazione di modelli riproponibili, dall’altro devono stimolare l’interesse con la “novità”. Per questo mirano spesso a separare (o a sminuire) la questione della “sensatezza” dalla ricerca formale, prediligendo quest’ultima potenzialmente rinnovabile e ciclicamente riproponibile, senza sottolineare problematiche profonde di interpretazione.

Gli stilemi imposti da questo o quell’operatore, da questo o quel mercato provengono dalla necessità di orientare verso una produzione artistica acquistabile e comunque “rinnovabile”, un pubblico sempre più coinvolto emotivamente dal sistema di informazione nei “problemi dell’immagine”, ma sempre meno educato e cosciente a percepire la loro storia e la loro sostanza. Sfugge a questo circuito l’opera “evento”, fuori dalle dimensioni o dagli schemi, o la provocazione estrema: esse tuttavia hanno il potere di “catalizzare” l’interesse e l’attesa, di dare eccezionalità al contesto, insomma, di spettacolarizzare, di stupire spesso più l’occhio che l’intelligenza. Anche questo è funzionale al sistema che vive all’ombra dell’”evento” ma che è di esso il motore e il referente finale. L’utilità sta nel creare l’attenzione, l’interesse, e non secondariamente, l’aura.

Nel circuito mediatico l’opera sopravvive come tale in quanto per poter essere venduta deve essere “tesaurizzabile” ma viene collocata nella logica triturante (ma anch’essa potenzialmente significativa) dell’oggetto di consumo e ciò può darsi con più facilità se si riesce a smantellare o ad ottundere la sua sostanza analitica significativa e la situazione problematica che può implicare.

L’enorme possibilità di informazione che la società oggi consente, favorisce anche la diffusione e l’omogeneizzazione delle culture: la globalizzazione delle informazioni ha una influenza non indifferente sull’immaginario, perché l’informazione si appoggia essenzialmente su “immagini” di sintesi costruite per rispondere a certe funzioni comunicative o espressive (20). Più l’ambiente di formazione dell’artista è aperto all’internazionalismo della cultura dell’immagine di massa (21), più corre il rischio di compiere una ricerca “dentro” i circuiti dell’immaginario globalizzato (22).

Per evitare di essere coinvolti in una semplice gratificazione mercantile e psicologica che annulli la disponibilità autentica alla ricerca è necessario che l’artista sappia mantenere un rapporto dialogico e critico con la cultura dominante. Questa condizione è possibile se l’artista vive o ha imparato a vivere nei tempi e nei limiti imposti dalla “provincia”, se ha imparato (anche duramente) la capacità e la necessità della riflessione, del confronto tra la propria identità (definita o in definizione) e la velocità dell’informazione esterna. E’ una tipica esigenza di maturità da parte di molti artisti avere la necessità di porre una distanza con la dinamica del “centro” per avere il tempo di percepire il senso del proprio fare. Non a caso poi, il mercato predilige l’artista giovane o giovanissimo, perché nella sua necessità di affermare rapidamente se stesso, appare più disposto all’adattamento alla “velocità” e alle regole del mercato. La “direzione di senso” che l’artista riesce a dare alla sua ricerca (ovvero la sua specificità) può essere colta nello scarto che mantiene tra la sua attività e le “poetiche” maggioritarie con le quali si relaziona, non nella sua omologazione cosciente o inconsapevole a questo o quel linguaggio. L’esistenza di uno “scarto” rispetto alle coordinate dettate dalla cultura visuale dominante, rileva lo specifico modo di confrontarsi con i temi urgenti della attualità esistenziale e lo specifico “senso” del proprio ricercare. Condizione culturale e ambientale migliore (e necessaria) per questa ricerca è proprio la “distanza” dal centro, cioè dal fluire inarrestabile degli stimoli, una distanza che non significa rifiuto né pregiudizio, ma possibilità di riflessione e approfondimento.


(16) M. COSTA, Op. cit. 1999 in part. P. 9; 17 – 19; 32 – 35. MARZIANI, MeltingPop cit., in part. pp.15 – 16.

(17) Se l’opera d’arte tradizionale è “sensibile”, cioè fruibile dagli organismi sensoriali, quella contemporanea subisce uno sfocamento, aprendo a diverse facoltà percettive. Se l’opera d’arte tradizionale è sensata, cioè soddisfa la dimensione culturale del senso, quella “contemporanea” inserisce l’insensato, cioè frammenta le definizioni e propone frammenti che non hanno coerenza discernibile. CARMAGNOLA, Parentesi perdute, 1998, pp.91.

(18) Le “norme estetiche” vengono invece dettate dal sistema di elaborazione e costruzione delle immagini e dei simboli della cultura di massa, che oggi proviene essenzialmente dall’ambito filmico, televisivo o pubblicitario. Sono questi gli strumenti formativi principali dell’immaginario di massa e pertanto è il loro modo di strutturare le relazioni e i significati che incide profondamente sulla riconoscibilità e sul successo di un determinato “prodotto d’arte”. Il mercato dell’arte, per sostenersi ed espandersi, ha bisogno di associare parte della produzione artistica alle forme dell’immaginario di massa, o di adeguarla a determinati segmenti psico-sociali che cercano la gratificazione e la definizione del proprio “status” nel possesso di prodotti d’arte riconoscibili come tali. Per orientarsi su queste tematiche: S. VITALE, Consumismo e società contemporanea, Sansoni, Firenze, 1975; in part. M. Horkheimer, T. Adorno, L’industria culturale, ivi, pp. 283 – 295. S. EWEN, Sotto l’immagine niente. La politica dello stile nella società contemporanea, F. Angeli, Milano 1993. In part. Pp. 275 – 310.
R. P. SNOW,La cultura dei mass media, ERI, Torino, 1987. In part. Pp. 227 – 264 V. CODELUPPI, Consumo e comunicazione, F.Angeli, Milano, 1992, in part. Pp. 81 – 107
Sui rapporti tra arte e mercato, fondamentale la lettura di F. POLI, Il sistema dell’arte contemporanea, Laterza, Bari, 1999, ma anche A. VETTESE, Artisti si diventa, Carocci, 1998;

(19) Diversamente da ciò che prevede “l’estetica della comunicazione” che parla di opera come “evento simultaneo” e “ movimento di energia”. Cfr. M. COSTA, Op. cit. p. 35.

(20) O. CALABRESE, Il linguaggio dell’arte, Bompiani, 1985, pp.168 – 177, ma anche l’intero testo di EWAN, op.cit.; Si veda anche: BALMAS, P., Globalizzazione e derealizzazione nell’arte contemporanea; BISCUSO, M., Condizione postmoderna in Italia: pensiero debole e mutamento del paradigma produttivo;  MANGO, L., Originario e globalizzzione. L’arte e il problema del fondamento, in: A.A.V.V., Estetiche della globalizzazione, a cura di A.Bonito Oliva, A.M. Nassisi, Manifestolibri, Roma, 2000.

(21) Per cultura “internazionalista” identifichiamo quella che viene diffusa dai media internazionali che, assumendosi univocamente il compito di “rappresentare la contemporaneità” e avviare la globalizzazione delle culture, poiché capaci di agire con una comunicazione in tempo reale, formano l’immaginario dominante o pongono in rilievo determinate esperienze. Queste in virtù dell’equivoco legato ai presupposti della teoria dell'’agenda -–setting"” diventano “immagine dell’arte contemporanea” in virtù della loro evidenza mediatica. Quest’arte viene promossa non in relazione ad un sistema di valori ad essa intrinseco, ma grazie alla sua corrispondenza con le necessità della spettacolarizzazione, criterio fondamentale della comunicazione dei media contemporanei.

(22) E’ il rischio di aderire più o meno consciamente a quel fenomeno che la comunicazione di massa definisce come “agenda – setting” nel quale gli elementi di discussione all’interno della società, vengono dettati dalle scelte dei “media”, le quali sono determinate non dalla necessità di dare visione oggettiva e completa del reale, ma da quella di vendere più facilmente se stessi M. WOLF, Teoria delle cit., pp. 143 - 176. Cfr. A. DEL GUERCIO, Op. cit., pp. 11 – 29 ( part. pp. 13 – 14 ).


Theorèin - Novembre 2005